Dal 1 luglio, fino alla fine dell’anno, sarà operativo il taglio del cuneo fiscale 2023. Che impatto avrà sugli stipendi questa riduzione della pressione fiscale?
Cosa si intende per cuneo fiscale?
Secondo la definizione dell’OCSE, il cosiddetto cuneo fiscale è “il rapporto tra l’ammontare delle tasse pagate da un singolo lavoratore medio e il corrispondente costo totale del lavoro per il datore”.
In termini più consueti, il cuneo fiscale non è nient’altro che la differenza tra lo stipendio versato dal datore di lavoro, al lordo delle tasse, e la busta paga netta che il dipendente effettivamente guadagna.
Il taglio del cuneo va applicato a tutti i lavoratori dipendenti, ma sono esclusi i rapporti di lavoro domestico. E i limiti della retribuzione mensile, che danno accesso a questo taglio, devono essere intesi come imponibile ai fini previdenziali. Con il termine imponibile intendiamo, quindi, l’importo sulla base del quale sono calcolate le imposte, o le tasse.
Taglio del cuneo fiscale 2023, cosa prevede?
Grazie alla legge di Bilancio del 2023, i redditi più bassi hanno diritto ad una riduzione della pressione fiscale, chiamata anche taglio del cuneo fiscale. Un taglio che produce come conseguenza principale un aumento della retribuzione, in busta paga, dei lavoratori.
Questo intervento, nei fatti, è già attivo dal 1 gennaio di quest’anno, e prevede per i lavoratori dipendenti:
- un esonero dei contributi pari al 2%, per chi guadagna fino a 35.000 euro annui
- un esonero dei contributi pari al 3% per redditi non superiori ai 25.000 euro.
Il dato importante è che a partire dal 1 luglio e fino al 31 dicembre del 2023 questo esonero, per le due fasce indicate, passerà al 6% e al 7%. Se consideriamo come riferimento la retribuzione mensile, si avrà:
- un esonero dei contributi del 6% per chi percepisce fino ai 2.692 euro mensili
- un esonero dei contributi del 7% per chi percepisce fino a 1.923 euro mensili.
Taglio del cuneo fiscale e conseguenze sugli stipendi
Gli ultimi anni si sono contraddistinti per un generale aumento del costo della vita, che ha determinato come prima conseguenza una ridotta capacità di spesa da parte degli italiani. Riduzione aggravata ulteriormente da parametri quali:
- aumento di inflazione e tassi di interesse
- aumento dei tassi dei mutui.
Obiettivo dichiarato del taglio del cuneo fiscale è proprio quello di restituire agli stipendi degli italiani parte della capacità di spesa perduta finora. Sono state svolte delle simulazioni da parte della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che hanno riportato la seguente casistica.
Per chi percepisce 2.692 euro di retribuzione mensile, la riduzione dei contributi da versare può raggiungere la soglia di circa 108 euro, sempre su base mensile. Per chi percepisce una retribuzione di 1.500 euro, si produrrà nella busta paga un risparmio di circa 60 euro mensili. Dobbiamo specificare come quest’ultimo importo può arrivare a 75 euro, con riferimento al 2022, se teniamo in considerazione il precedente intervento previsto dalla legge di Bilancio del 2023.
Per chi percepisce 1.923 euro mensili, la busta paga aumenterà di 96 euro.
Come fare se il taglio del cuneo non basta?
Questa misura che ha, come indicavamo in apertura, l’obiettivo dichiarato di restituire ai redditi una porzione di capacità di acquisto, può tuttavia non essere sufficiente nei casi in cui ci ritroviamo ad essere debitori o versiamo in una vera e propria condizione di sovraindebitamento.
In questa eventualità, che può essere del tutto temporanea e indipendente da nostre azioni o scelte, come nel caso di un licenziamento o un aumento consistente del mutuo ad esempio, quali strategie possono venirci in aiuto? Rivolgerci ad una società riparatrice del credito è la scelta più efficace.
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